3 Domenica di Avvento –  17 dicembre 2023

<<Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui… “Tu chi sei?”… “Io non sono il Cristo… a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo”>> (Gv 1, 6-8. 19-28)

 

 

“Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie” (1Ts 5, 16-18). La letizia a cui oggi la liturgia ci invita non è quell’allegria spensierata di chi non vede il male (o non gli interessa in quanto non lo tocca direttamente!) e gode di un passeggero benessere perché tutto al momento gli va bene; no! La letizia a cui oggi siamo invitati è qualcosa d’altro e di più profondo. Essa ha radici nella certezza di una presenza di Dio che ci accompagna e che ci sostiene sempre; che ci rafforza per attraversare il buio ed anche il dolore e perfino la morte;è la letizia di sapere la direzione del cammino da percorrere e per cui lottare; una gioia che ha radici salde in Gesù, il Cristo, e che ha le ali forti della speranza nel ritorno del Signore che tutto porterà a pienezza e compimento. 

Giovanni si è inoltrato più di chiunque altro nella terribile arsura del cuore umano, fino a scorgere con occhi di speranza l’incanto della pienezza dei tempi; fino a credere che, davanti alla nostra povertà, l’unica scelta di Dio non può che essere quella di venirci incontro. Il Battista indica così una “presenza celata” ma non per questo meno vera. Credere a questa presenza nascosta è aprire la vita ad una gioia che ci è donata per grazia. E allora la gioia può fiorire anche tra le lacrime, anche tra le contraddizioni, perché è una gioia che non dipende in alcun modo dal mondo, ma solo dal Cristo e dal suo amore che diviene evangelo!

Giovanni sa di non essere lui la luce ma sa anche di essere “mandato da Dio” per aprire varchi alla luce vera… La profezia è proprio questo: leggere la storia e scoprirvi le tracce di Dio.

Sì, lo sappiamo, viviamo in un tempo confuso che ogni giorno incautamente mette a rischio la sopravvivenza stessa del pianeta.“Epoca delle passioni tristi” è stato definito il nostro tempo, lamentando l’assenza di desideri, lo spegnersi di quel vento di passioni creative, di sogno di libertà, di aspirazione al bello e al bene che – forse – aveva contraddistinto altre epoche storiche.In questo nostro tempo in cui nessuna parola sembra venire da lontano, poiché l’enorme massa di linguaggio che ci travolge ogni giorno sembra dire parole troppo corte, troppo piccole per conservare ancora l’aroma amaro e sapiente della verità, forse, ancora, una parola profetica si potrebbe udire se il nostro orecchio fosse educato all’ascolto di cose grandi invece che alle piccinerie e al pettegolezzo.

Tuttavia, anche oggi ci sono uomini e donne che fanno della loro vita il ricettacolo della Parola di Dio e della loro voce la sua eco. Capaci di una tale “intelligenza” di Dio, da far sì che essa permetta loro di “cogliere”, nel profondo, la realtà del presente, la volontà di Dio per il nostro futuro, e capaci di una tale “passione” di Dio da mettere in gioco la propria vita, da non curarsi della propria vita, a rischio anche di perderla.

   Se la Parola di Dio è “verità”, e fare profezia significa farsi portavoce di quella verità nella concretezza della storia dell’umanità, allora possiamo intendere come profetica anche una parola che non abbia consapevolezza della “autorità” di Dio su di essa. Non è solo la fede in Dio che consente spazi di profezia. Il soffio dello Spirito passa attraverso fessure che non sempre sappiamo nominare. Possiamo trovare profezia ovunque vi sia un grido che denuncia l’ingiustizia. Ovunque vi sia qualcuno che testimonia la pace. Ovunque vi sia sacrificio in nome della verità. Ovunque qualcuno ci mostri che la storia va letta con gli occhi dei miseri, degli ultimi, dei piccoli, dei prigionieri, dei vinti. Perché quelli sono gli occhi di Dio. Ovunque ci venga data la speranza che ci sarà pane per chi ha fame, acqua per chi ha sete, giustizia per chi è sfruttato, pace per chi è in guerra. Ovunque si crei spazio per la salvezza di ciò che è vivente.

Giovanni non si arroga un nome non suo, non prende il posto di altri, nega recisamente di identificarsi con le tre figure salienti dell’attesa giudaica dell’epoca: il Messia, l’Elia che deve venire, il profeta escatologico. Dopo aver rifiutato la vertigine del porsi più in alto di se stesso, ecco che alla domanda che gli chiede di dirsi, egli risponde positivamente, rinviando alla fonte della sua obbedienza, la Scrittura: “Io, voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore” (Gv 1,23). Ecco il luogo della sua pace: la parola del Signore obbedita e divenuta principio ordinatore della sua esistenza.

A Giovanni basta essere “voce” di un Altro che è invece la Parola. Ma c’è voce e voce… c’è quella che è solo un insieme di suoni e c’è quella che riesce a restituire toni e colori alla parola. L’uomo mandato da Dio lo riconosci dalla voce, quella che ti aiuta a scoprire il modo in cui Dio si manifesta nella tua vita. Le parole di Giovanni oggi ci raggiungono e ci interpellano: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete»! Quante volte questo è drammaticamente vero e perfino nella vita della Chiesa! Noi cristiani viviamo, possiamo dirlo, “gomito a gomito” con Dio e non ce ne accorgiamo; Lui è presente, sta nel cuore dell’uomo (nel mio cuore!), sta negli eventi della storia, sta nell’esistenza quotidiana, sta negli incontri che facciamo, sta nella sua presenza eucaristica, sta nell’amore di tanti uomini e donne che lo cercano e lo mostrano con il loro amore che si fa carne, sta nell’impegno e nella lotta di tutti coloro che si sporcano le mani per costruire una umanità fraterna e solidale…



Gigi Toma

 

Manda, Signore, ancora profeti,

uomini certi di Dio,

uomini dal cuore in fiamme.

 

E tu a parlare dai loro roveti

sulle macerie delle nostre parole,

dentro il deserto dei templi:

 

e dire ai poveri

di sperare ancora.

 

Che siano appena tua voce,

voce di Dio dentro la folgore,

voce di Dio che schianta la pietra.

 

                           (Davide Maria Turoldo)