Abbiamo chiesto al Cardinale Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, come la vita e le opere del beato Charles de Foucauld possono essere una traccia di cammino sinodale per le Chiese che sono in Italia. Ci ha consegnato questa bellissima riflessione.

«Amare non significa convertire, ma per prima cosa ascoltare, scoprire questo uomo, questa donna, che appartengano a una civiltà e ad una religione diversa». Quando ci chiediamo in cosa consiste il Cammino sinodale, a cosa serve, dove ci porterà, dovremmo tenere a mente queste parole di Charles de Foucauld. Oltre a consegnarci una verità, infatti, gettano luce sul percorso che le Chiese che sono in Italia hanno intrapreso da qualche mese, danno vigore ai loro passi e indicano una meta. Il piccolo fratello ci ricorda che ascoltare è un modo di amare: non si tratta di un gesto strategico né tantomeno di un pro-forma, ma è un fare spazio all’altro, rinunciando ad un pezzetto di sé; è accoglienza delle parole e dei silenzi altrui; è possibilità che l’essere umano si mostri nella sua essenza. L’ascolto è una dinamica antropologica basilare e, allo stesso tempo, un metodo ecclesiale per progredire insieme nella fedeltà al Vangelo oggi. Come ha affermato Papa Francesco: «Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare “è più che sentire” (Evangelii Gaudium, n. 171). È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare».

Ecco, da Charles de Foucauld – che il prossimo 15 maggio salirà all’onore degli altari – noi possiamo apprendere molto sull’arte dell’ascolto. Lui, che seppe farsi povero tra i poveri tra i Tuareg del deserto del Sahara, divenne profeta del dialogo con l’Islam proprio perché fu capace di ascoltare, di rinunciare a qualsiasi tipo di giudizio e di pre-giudizio, di aprire il cuore e l’orecchio agli altri, specialmente ai poveri e agli ultimi. Non si può dialogare se non si sa ascoltare, se non si è disposti a guardare l’interlocutore dritto negli occhi e non dall’alto in basso. Lo spiega bene Papa Francesco, nella Fratelli tutti, quando sottolinea che «il mettersi seduti ad ascoltare l’altro, caratteristico di un incontro umano, è un paradigma di atteggiamento accogliente, di chi supera il narcisismo e accoglie l’altro, gli presta attenzione, gli fa spazio nella propria cerchia (n.48)». De Foucauld, che volle addirittura imparare la lingua dei Tuareg, ci incoraggia a non avere paura dello straniero, delle persone distanti dal nostro modo di pensare e di parlare, di chi sembra non avere nulla in comune con noi. Con il Cammino sinodale, la Chiesa che è in Italia non vuole solo raccogliere la voce di quanti fanno parte della comunità ecclesiale, ma intercettare i lontani, andando loro incontro e tendendo loro la mano. Solo così possiamo costruire un “noi” più grande, più coeso, più forte, in grado di affrontare le sfide del mondo attuale. La pandemia ci ha ricordato, spesso in modo violento, che siamo tutti sulla stessa barca e che possiamo salvarci soltanto se remiamo insieme. Anche il piccolo fratello parlava di momenti burrascosi della storia, individuando un metodo infallibile per superarli: «Coraggio! Non meravigliatevi delle attuali tempeste, la barca di Pietro ne ha viste altre (...) Torniamo al Vangelo: se non torniamo al Vangelo Gesù non vive in noi. Torniamo alla povertà, alla semplicità cristiana. (...) Il pericolo sta in noi non nei nostri nemici. Tornare al Vangelo è il rimedio: è ciò di cui abbiamo tutti bisogno». Le sue parole, contenute in una lettera inviata a mons. Caron il 30 giugno del 1909, risuonano oggi in tutta la loro forza e attualità. Ci rammentano infatti che siamo chiamati, innanzitutto, ad essere una Chiesa al servizio di un’umanità ferita, portatrice di un annuncio gioioso, espressione vivente della visione francescana di un Vangelo sine glossa, che dobbiamo ad ogni uomo e a ogni donna, senza imporre nulla. È questa la lezione del beato De Foucauld che invita a riscoprire ciò che è essenziale, senza ricorrere ad effetti speciali: «Tutto il nostro essere – scriveva - deve diventare una predicazione viva, un riflesso di Gesù, un profumo di Gesù, qualcosa che gridi Gesù, che faccia vedere Gesù, che risplenda come un’immagine di Gesù».

È questa l’eredità preziosa che ci consegna per vivere al meglio il percorso sinodale che non vuole e non deve essere un evento da celebrare o da fare, ma piuttosto un modo di essere comunità cristiana, che dopo duemila anni dall’inizio dell’annuncio di Cristo, è ancora capace di mostrare la bellezza di vivere il Vangelo. Anche in questo tempo così precario e ferito, eppure carico di nuove opportunità se sappiamo guardare con occhi nuovi. Il Cammino sinodale ci chiede di scrutare “i segni dei tempi”, di scorgere la luce in uno spiraglio, di coltivare i germogli di bene che sono presenti, di amare il prossimo come noi stessi, considerandolo realmente un fratello, proprio sull’esempio del beato Charles di Gesù che è stato testimone autentico di una Chiesa accogliente e missionaria, capace di offrire un aiuto fraterno, mite, dolce, appassionato, caritatevole e totalmente gratuito a tutti, nessuno escluso. La sua pastorale dell’amicizia, incarnata e vissuta fino alla fine, rappresenta un’indicazione chiara per il nostro percorso sinodale. Siamo infatti giunti a un punto della storia umana che non possiamo più permetterci dinamiche di contrapposizione e dobbiamo riscoprire il rivale come abitante dell’altra riva, amico e vicino. Solo così sarà possibile costruire ponti e stabilire la pace: in noi stessi, in famiglia, nei luoghi di lavoro e in ogni ambiente di vita, nelle nostre città, nel Paese e nel mondo intero.

È questo, del resto, lo spirito che anima l’iniziativa “Mediterraneo frontiera di pace”, l’incontro di riflessione e spiritualità che riunirà a Firenze, dal 23 al 27 febbraio, i Vescovi cattolici di alcuni Paesi del Mare Nostrum. Dopo la prima edizione di Bari, nel 2020, la Chiesa che è in Italia torna a focalizzare l’attenzione sulla necessità di aiutare il Mediterraneo ad essere, come diceva Giorgio La Pira, “quello che fu”: culla di civiltà, simbolo di unità e non di confine, luogo di incontro e non di conflitto. L’appuntamento di Firenze si colloca al centro del primo anno del Cammino sinodale, quale gesto concreto della volontà di mettersi in ascolto e di farsi prossimi. Come seppe fare fratel Carlo di Gesù che attorno al “grande lago di Tiberiade” maturò la sua vocazione e, grazie all’intensa vita di preghiera e di comunione con Gesù, riuscì a essere “fratello universale”. Testimone delle periferie, sempre orientato all’unico vero centro, disponibile ad accogliere ogni uomo e a cogliere il sussurro dello Spirito.

Gualtiero Card. Bassetti

Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve

Presidente della CEI

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