Nel nostro gergo foucauldiano quando si dice Nazareth si intende tutto ciò che attiene alla vita quotidiana: il lavoro, le relazioni, l’ambiente di vita…
Oggi voglio parlarvi delle nostre vicine di casa.
Quando ci siamo trasferite qui, quasi 6 anni fa, il commento della nostra dirimpettaia è stato: “ Accidenti (è un eufemismo…), delle monache che vengono qui ad abitare, allora non posso più dire le parolacce!!!”. In effetti questa donna, all’apparenza piuttosto brusca e burbera ha un linguaggio alquanto … “sciolto”, ma ha un cuor grande. Quando cuciniamo la pizza o una torta e gliene offriamo un pezzo, puntualmente ci ritorna indietro moltiplicato in qualcosa d’altro.
Pur essendo separata dal marito, che la aveva fatta alquanto soffrire, quando questi si è ammalato, lo ha assistito fino alla fine, andando ogni giorno a casa sua per preparargli i pasti e lavargli gli indumenti. Quando non si sente bene mi chiama per misurarle la pressione e la glicemia. Mi confidava che quando lei morirà vorrà essere cremata e la cassetta delle ceneri dovrà essere messa nella tomba del marito “perché voglio rompergli le scatole per l’eternità”.
La vicina del piano di sopra, figlia di una famiglia molto numerosa, ha passato la sua infanzia in un collegio, conservandone, stranamente, un ricordo meraviglioso e grande affetto e stima per le suore che l’hanno educata e fatta studiare. Per lei la nostra presenza è stata fonte di gioia e rassicurazione. A 90 anni conservava ancora la capacità di stupirsi e di cogliere il positivo delle situazioni. Se ne è andata da pochi giorni e sentendo la morte avvicinarsi chiedeva con insistenza delle presenze accanto a sé, che colmassero quel senso di solitudine infinita. Sia noi che le altre vicine di casa abbiamo cercato di starle vicino per quanto possibile, pur sapendo che quel passaggio avrebbe dovuto attraversarlo da sola…
Poi c’è la signora del terzo piano, rimasta vedova nel giro di una settimana durante i primi mesi del Covid. È una donna coraggiosa e molto socievole, pur essendo legatissima a suo marito, ha preso in mano la sua vita, curando i nipoti quando necessario, partecipando al gruppo anziani della parrocchia, aiutando le vicine fino a rendersi disponibile a fare iniezioni a chi ne avesse bisogno. Dice che le giornate sono lunghe e per vincere la solitudine si è aperta agli altri.
All’ultimo piano c’è un’altra nostra amica, anche lei rimasta vedova da poco. Una piccola sorella la va a visitare regolarmente. Con suo marito facevano una bella coppia, si volevano molto bene, senza grandi discorsi, ma con la fedeltà, il rispetto e la stima di 60 anni di matrimonio. La mattina uscivano insieme, mano nella mano, per comprare il giornale e io li salutavo dicendo che mi sembravano due fidanzatini. Ne erano orgogliosi.
Al quarto piano c’è l’altra signora napoletana che a Pasqua ci porta la “pastiera” farcita di ricotta e grano cotto, specialità del suo paese. Per due mesi ci sono stati lavori di ristrutturazione del suo appartamento e alla conclusione, per scusarsi del disturbo creato, ha portato una pastiera a tutti i vicini.
Con queste signore, una piccola sorella aveva iniziato a proporre un momento di preghiera in quaresima e in avvento: lettura del Vangelo, risonanze, un canto e la preghiera del Padre Nostro.
Con il Covid tutto si è interrotto, ma dall’anno scorso gli incontri sono ripresi, con scadenza mensile. Sono incontri semplici, di condivisione della fede, senza pretese di grandi discorsi teologici.
Così come condividiamo la vita, le fette di torta o le visite di compagnia, così condividiamo la nostra fede in Gesù Cristo e la gioia che ci dà la parola del Vangelo.
Questo dà frutti di serenità e armonia nel vicinato.