Mons. Rosolino Bianchetti, vescovo in una terra di Martiri
di Oswaldo Curuchich jc
Mons. Rosolino Bianchetti, vescovo del Quiché in Guatemala, è originario della Diocesi di Crema. Ordinato sacerdote nel 1974, cinque anni dopo partì missionario prima in Venezuela e poi in Guatemala. Il prossimo 23 aprile saranno beatificati 10 martiri, tre sacerdoti spagnoli Missionari del Sacro Cuore e 7 laici di cui un bambino di appena 12 anni; i Martiri del Quiché furono uccisi “per odio alla fede” durante il conflitto armato interno durato 36 anni. El Quiché è tristemente noto quale “epicentro” del suddetto conflitto.
Mons. Bianchetti, e il suo predecessore, il guatemalteco mons. Julio Cabrera, sono anche “amici di Charles de Foucauld”; Cabrera ha accolto le Piccole Sorelle del Vangelo quando era vescovo di Jalapa. Bianchetti ci ha rilasciato l’intervista che qui condividiamo.
Monsignore, la Diocesi del Quiché da lei guidata si prepara a un evento trascendentale che è la beatificazione di 10 martiri riconosciuti come tali dal papa Francesco. Che significa per la Chiesa del Guatemala e per il popolo Quiché in particolare questo evento?
In primo luogo significa che durante le decadi degli anni 80 e 90 dello scorso secolo, in questa terra del Quiché ci furono discepoli di Gesù che dopo una vita incorporata al servizio del Regno di Dio, versarono il loro sangue come testimoni fedeli del Signore. Allo stesso modo, la loro testimonianza ci mostra i frutti dell’opera di evangelizzazione nelle nostre comunità, impregnate tuttavia dalla cultura e dai valori Maya. È il riconoscimento del fatto che non ci sono solo i “semi del Verbo”.
La Chiesa del Guatemala, come tutta l’America Latina, è una chiesa missionaria e si caratterizza per il ruolo fondamentale che svolgono i laici. Papa Francesco in varie occasioni ha evidenziato la necessità per tutta la Chiesa di essere evangelizzatrice. Ci può condividere qualcosa in riferimento alla sua esperienza?
Dagli anni 40 dello scorso secolo in Guatemala si iniziò un lavoro intenso di evangelizzazione per mezzo e attraverso il metodo dell’Azione Cattolica, metodo che è stato approvato e inculturato dalle comunità prendendo le caratteristiche di un forte impegno per i laici. Ispirati dalla Parola di Dio attraverso un impegno decisivo per giungere poi alla realizzazione del progetto di Gesù di Nazaret, le comunità crebbero in una esperienza mai vista nella nostra terra.
La vita e la testimonianza dei nostri martiri si caratterizzò per le loro opere di servizio e di carità, convinti che il cristiano non può disinteressarsi della realtà nella quale vive. La lotta per il proprio popolo e con il proprio popolo sono un segno dell’amore di Dio e dei fratelli. Al seguito di Cristo, ci si apre con la generosità alle grandi necessità di tutti, la lotta contro la povertà e l’ingiustizia. Sapere unire la fede e la vita, senza separare la lotta per l’uguaglienza della dignità umana dal confididare in Dio. Se il Vangelo fu il loro cammino, la fede li trasformò in testimoni. Da quel momento storico che li toccò in sorte, la missione della Chiesa li aiutava a intendere la vita come un tempo di grazia che li spingeva a vivere una tensione continua fino all’eternità, senza smettere di tenere i piedi ben radicati per terra. Da questa consapevolezza si arrivò all’impegno sociale: furono promotori di giustizia, costruttori di pace, artefici del bene comune, difensori instancabili della persona umana e dei diritti, amanti e difensori della Madre Terra, ereditata dai suoi discendenti.
Lei e Mons. Julio Cabrera, suo predecessore, siete entrati in contatto con la spiritualità del beato Charles de Foucauld che sarà canonizzato probabilmente verso la fine di questo anno. Ci può dire qualcosa in riferimento a ciò?
La vita e la testimonianza che ha lasciato il Beato Charles de Foucauld, è stata come un orizzonte che ci ha ispirato nella nostra missione al servizio del Regno di Dio in questa Chiesa che cammina nella terra del Quiché. Lo spirito di fraternità, di condivisione con i poveri e gli oppressi che ha anche caratterizzato il Beato Carlo di Gesù ci ha accompagnato nel vissuto con questi popoli originari. Lo sguardo contemplativo e compassionevole verso la vita delle persone, le famiglie e le comunità, è stato un elemento decisivo che la spiritualità del Fratello Carlo ci ha donato.
L’ultima enciclica di Papa Francesco, Fratelli Tutti, sulla fraternità universale, è un documento che lancia un invito, quasi una sfida al mondo intero. Padre de Foucauld è anche chiamato il Fratello Universale, e precisamente per questo il Papa afferma che si è ispirato a lui. Come avverte il tema della fraternità universale nella sua diocesi e in Guatemala?
Dobbiamo riconoscere e sottolineare che il conflitto armato interno è stato un fenomeno storico doloroso per il Guatemala e per questa zona in particolare, con conseguenze che tuttora rimangono e sarà necessario altro tempo per sanare le ferite, a cominciare dal ricostruire un tessuto sociale seriamente danneggiato per vari fattori: religiosi, sociali e politici. La ricostruzione di tale tessuto è stato uno dei principali impegni che come Chiesa abbiamo trattato per portare avanti, mediante lo sforzo di dialogare per cercare la riconciliazione e la promozione del lavoro comune nelle comunità in vista di uno sviluppo integrale per migliorare la qualità della vita e la fraternità.
Grazie mille, per concludere, desidera aggiungere qualcosa in particolare?
La testimonianza dei nostri martiri desidera essere un apporto a tuta la Chiesa per una vita sensibile e umile, posta al servizio del Regno di Dio. Una vita sigillata come quella del Maestro con il suo proprio sangue; una vita donata nella quotidianità, a imitazione del beato Charles al seguito di Gesù di Nazaret.
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